I bambini dovrebbero vivere un’infanzia felice e disinvolta. Purtroppo a volte questo non è possibile: un padre violento che si sfoga sulla madre, una madre affetta da problemi psicologici, problemi economici gravi e/o condizioni sanitarie precarie, rendono necessarie azioni forti come l’affido familiare dei bambini ad un’altra famiglia.

In questa guida completa sull’affido familiare ti spiego come funziona e in quali condizioni viene richiesto, quali sono i requisiti per offrirsi come famiglia di affido, qual è l’importo del contributo economico dallo Stato, come è disciplinato dalla legge, cosa significa sine die e quali sono le esperienze degli altri affidatari.

Cos’è e come funziona

Quando un bambino vive in una famiglia in cui ci sono particolari e gravi problemi, allora viene affidato temporaneamente a un altro nucleo familiare.

Durante tutto il periodo dell’affido, il bambino mantiene i rapporti con la famiglia di origine, quindi sa (se è abbastanza grande per comprenderlo) che ha una famiglia affidataria che si occupa di lui e dei genitori biologici che al momento non possono provvedere alle sue esigenze ma con cui continua a mantenere stabili rapporti.

L’affido può essere:

  • Consensuale, quando la famiglia di origine è d’accordo; I genitori biologici quindi riconoscono di essere in una situazione particolarmente problematica e non oppongono resistenza all’affido del loro figlio;
  • Giudiziale, quando i genitori non sono d’accordo, ma la gravità della situazione è tale che il giudice stabilisce obbligatoriamente che il bimbo venga affidato.

L’affido può riguardare:

  • Neonati;
  • Bambini piccoli;
  • Adolescenti.

Fino ai 18 anni infatti, un soggetto è incapace di intendere e volere, non in grado di pensare a se stesso e occorre una famiglia che vi provveda.

Requisiti

Se desideri aiutare un piccolo in difficoltà, puoi dare allo Stato la tua disponibilità agli affidi. Sei ritenuto idoneo a ottenere un minore in affido se possiedi questi requisiti:

  • Fai questa scelta in piena consapevolezza;
  • Tutti i componenti conviventi del tuo nucleo familiare sono d’accordo ad accogliere un bambino in affido.

Come vedi i requisiti non sono molto stringenti: non è necessario neanche essere sposati. Potete essere una coppia sposata, solo convivente oppure puoi essere single.

Al contrario che per l’adozione, non è necessario avere un partner per essere affidatario di un bambino. Quello che per le istituzioni conta, è il tuo reale desiderio di aiutare un minore e farlo con la consapevolezza che non si tratta di un gioco, né tantomeno che saranno tutte rose e fiori.

Puoi presentare la tua domanda presso i servizi sociali del tuo Comune. Qui potrai compilare un modulo e poi, al più presto possibile, i servizi sociali vorranno incontrarti (o incontrarvi se siete una coppia) per approfondire la conoscenza e capire se sei (siete) la persona giusta per ricevere un bambino in affido. Se hai già dei figli, anche costoro saranno coinvolti in questo percorso di conoscenza con i servizi sociali.

Contributo economico

Se i servizi sociali ti riterranno idoneo a ricevere un bambino in affido, avrai diritto a:

  • Un contributo economico mensile, a titolo di rimborso spese per il mantenimento del bambino;
  • Specifiche coperture assicurative;
  • Astensione obbligatoria e facoltativa, permessi e riposi dal lavoro, gli stessi che sono riconosciuti ai genitori biologici;
  • Incontri formativi con assistenti sociali e psicologi durante tutto il percorso.

L’importo del sussidio economico non è unico. Ogni Comune lo stabilisce con apposite delibere e viene erogato non automaticamente all’affido del bambino ma solo su apposita richiesta degli affidatari. Se quindi hai un bambino in affido, non hai automaticamente il contributo economico, ma devi fare apposita domanda al Comune,

Attenzione

Non essendoci un importo unico, il contributo erogato da un Comune potrebbe essere diverso da quello di un altro, anche se trattasi di città distanti pochi chilometri.

Legge

Le norme che disciplinano l’affido familiare sono essenzialmente due; la Legge 184 del 1983 e la Legge 149 del 2001. La prima stabilisce il diritto inequivocabile del minore di crescere in un ambiente in cui esprimersi liberamente e affermare le sue capacità.

Se una famiglia versa in particolari condizioni, tali da nuocere alla salute psicofisica del minore, costui viene collocato temporaneamente presso un altro nucleo familiare, idoneo a garantirgli sostegno economico, ma anche affettivo e morale.

La Legge 149 poi, ha dato nuovo impulso all’istituto dell’affidamento, tutelando soprattutto la famiglia di origine e il diritto del bambino a essere cresciuto dai propri genitori biologici. Il suddetto articolo infatti stabilisce che, prima dell’affido a na famiglia terza, quella di origine deve essere aiutata e sostenuta dallo stato.

Solo se questi interventi non sono sufficienti a creare un ambiente idoneo per il piccolo, allora si deve optare per l’affidamento. Che deve essere temporaneo e mai esclusivo: la famiglia di origine deve mantenere i rapporti col piccolo e deve essere coinvolta in un programma di sostegno e aiuto al fine di recuperare la capacità e idoneità genitoriale.

Sine die

Lo scopo dell’affido, è quello di far vivere il bimbo presso un’altra famiglia, temporaneamente, cioè fino a quando il suo nucleo familiare di origine risolve i propri problemi e diventa pronta a riaccogliere il bambino. Durante l’affido infatti, la famiglia di origine deve essere inserita in appositi programmi di aiuto e sostegno al fine di recuperare l’idoneità genitoriale.

Purtroppo però, questo non avviene sempre e l’affido, da temporaneo, si trasforma in “sine die”: senza scadenza, a tempo indeterminato. Succede così che il bambino rimane in affidamento per anni e anni e questo crea un disagio sia per il bambino, che si trova in un “limbo” in quanto coloro che lo hanno cresciuto non possono essere riconosciuti come genitori, sia per gli affidatari, che ormai si sono affezionati al minore.

Alcune proposte di legge, finora rimaste infruttuose, hanno così portato avanti una battaglia affinché l’affido tornasse davvero a essere solo temporaneo.

Nello specifico, laddove la famiglia di origine non riesca a trovare il proprio equilibrio e la propria idoneità entro ragionevoli tempi (indicativamente pari a 24 mesi), il bambino deve essere dato in adozione, affinché possa finalmente contare su una famiglia effettiva, fissa e reale. Al momento però, rimangono solo proposte. E l’affido continua a essere, spesso, sine die.

Esperienze

Prima di prendere un minore in affido, non c’è nulla di male a voler conoscere le esperienze positive e negative degli altri, di chi ha già avuto un piccolo ospite in casa. Cosa può andare male, quali sono i problemi possibili, sono solo alcune delle domande più frequenti che gli aspiranti affidatari si pongono. Spesso, ma non è sempre detto, il caso è più particolare quando il bambino non è più piccolissimo.

In questi casi il bambino ha vissuto in prima persona i disagi della sua famiglia di origine e ciò potrebbe avergli causato dei disturbi o dei disagi comportamentali. In questo caso il ruolo amorevole e comprensivo degli affidatari è di primaria importanza, così come l’aiuto degli assistenti sociali, degli psicologi e di tutti gli esperti del team servizi sociali del Comune.

In un percorso di affidamento, gli incontri tra il bambino (o adolescente) con la famiglia di origine, sono periodici. Purtroppo non sempre questi incontri sono felici e possono portare con sè degli stress che poi la famiglia affidataria deve gestire e risolvere, sempre insieme agli assistenti sociali, che mai abbandoneranno il piccolo, gli affidatari e la famiglia id origine. Tre elementi distinti, ma uniti in un percorso comune: quello della tutela della famiglia e dei minori.