Per determinati ruoli professionali occorre una disponibilità non continuativa, ma ‘discontinua’ e ‘intermittente’. Per questo motivo é nato il contratto a chiamata: allo scopo di permettere anche a chi non é titolare di partita IVA (e quindi non può emettere fattura), di regolamentare il proprio lavoro con uno speciale contratto di dipendenza. Come funziona il contratto a chiamata? Quale trattamento normativo, retributivo e previdenziale é previsto?
Innanzitutto occorre specificare che il contratto a chiamata può essere stipulato sia a tempo determinato (CTD) che a tempo indeterminato (CTI). Per entrambi questi contratti (CTD e CTI) esistono due varianti.
1) lavoro a chiamata con obbligo di disponibilità: il lavoratore si impegna a restare a disposizione del datore di lavoro al momento di ogni chiamata. Il datore di lavoro a sua volta retribuisce il lavoratore con una indennità, pari almeno al 20% dello stipendio mensile (stabilito dai contratti collettivi di settore), garantendosi in questo modo la prestazione professionale in caso di necessità.
2) lavoro a chiamata senza obbligo: il datore di lavoro non ha bisogno di disponibilità immediata e non corrisponde quindi un’indennità.
Il contratto a chiamata può essere stipulato da qualsiasi lavoratore, il quale può anche stipulare più contratti a chiamata e utilizzarlo per periodi prestabiliti nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
Trattamento retributivo e previdenziale
A chi lavora con contratto a chiamata sono versati dei contributi, gli stessi previsti per i colleghi di pari mansione e livello secondo il CCNL di riferimento, ovviamente ridotti proporzionalmente in base alle ore di lavoro effettive. Sono invece corrisposti per intero l’assegno familiare e l’indennità di disoccupazione per i periodi non lavorati (solo in caso di contratto a chiamata senza disponibilità).