La “cedolare secca” è un regime di tassazione alternativo, a cui il proprietario può decidere di aderire al posto del regime di tassazione ordinario. La convenienza della scelta è lampante: mente in regime ordinario il reddito derivante dagli affitti viene tassato secondo gli scaglioni IRPEF (che partono dal 23%), con la cedolare secca si paga solo il 21%.
In alcuni specifici casi, é prevista addirittura un’aliquota più bassa, pari al 10%. Tra questi, i contratti di locazione a canone concordato. Vediamo insieme in quali casi specifici si applica e quanto si paga.
Puoi optare per la cedolare secca sia nel momento in cui registri il contratto di affitto presso l’Agenzia delle Entrate, sia negli anni successivi (se l’affitto dura più anni). Ricorda che se non opti per il regime agevolato sin dall’inizio, le regole di registrazione saranno quelle ordinarie, quindi dovrai pagare le imposte di registro e di bollo, che non saranno più rimborsate, neanche se successivamente decidi di aderire alla cedolare secca.
Quanto si paga
Chi aderisce alla cedolare secca, paga un’imposta sostitutiva pari al 21% sul reddito derivante dall’affitto. E’ prevista un’aliquota più bassa, pari al 10%, per i contratti di affitto a canone concordato stipulati su immobili siti:
L’aliquota ridotta é valida per il quadriennio 2014-2017. Dal 2018 si applicherà un’aliquota pari al 15%.
Supponiamo che tu decida di affittare un appartamento a Milano, con un canone di affitto mensile pari a 700 euro. Ogni anno quindi otterrai dall’inquilino, con cui hai stipulato un contratto a canone concordato, 8.400 euro. Siccome il tuo immobile è ubicato in un comune ad alta densità abitativa, sino al 2017 pagherai solo il 10% di tasse, ossia 840 euro sul canone annuale.
Vantaggi
Il proprietario che sceglie il regime in cedolare secca, non paga le imposte di registro e di bollo, anche se, rinuncia a chiedere l’aggiornamento del canone, anche relativo alla variazione Istat, che comunque, in uno scenario di bassa inflazione, é decisamente ininfluente.