A volte le condizioni economiche di un’azienda possono essere così avverse che è necessario un licenziamento collettivo: un’interruzione della collaborazione lavorativa che riguarda più dipendenti nello stesso momento. Ma anche questo tipo di licenziamento è regolato da specifiche normative che non lasciano nulla al caso.

In questa guida ti spiego qual è la procedura di licenziamento collettivo, cos’è e come funziona la mobilità, quali sono i motivi per cui può essere fatto, quali sono i criteri di scelta che devono essere applicati, come si può impugnare un licenziamento illegittimo, dunque come funziona la disoccupazione la buonuscita.

Cos’è e come funziona

Il licenziamento collettivo (che più correttamente è la “procedura di mobilità” o “messa in mobilità”) è l’interruzione del rapporto di lavoro che coinvolge, contemporaneamente, una pluralità di dipendenti. L’azienda arriva a questa decisione in seguito a riduzione, trasformazione o cessazione dell’attività.

Nello specifico, si parla di licenziamento collettivo, quando l’azienda licenzia almeno cinque dipendenti in 120 giorni, all’interno della stessa provincia.

Normativa

La riduzione del personale con i licenziamenti collettivi è regolata direttamente dalla Legge n. 223 del 23 luglio 1991, dunque dalla Legge Fornero e infine, con il Job Act che ha operato su essa sostanziali modifiche.

La Legge n.223/91 prevede una specifica procedura per i licenziamenti collettivi, che devono seguire le aziende con più di 15 dipendenti, altrimenti il licenziamento può essere dichiarato illegittimo dal giudice.

La normativa prevede che, l’azienda con più di 15 dipendenti che ha intenzione di licenziare almeno 5 persone in 120 giorni, deve prima di tutto consultare i sindacati. Azienda e sindacati sceglieranno insieme i criteri di licenziamento. Di solito si preferisce mantenere il posto di lavoro a chi possiede i seguenti requisiti:

  • Ha maggiori carichi di famiglia (moglie, figli);
  • Ha un’età avanzata ma non è vicino alla pensione, neanche anticipata.

Ovviamente l’azienda, nel mandare via i dipendenti, ha anche il diritto di decidere in base alle esigenze produttive, ma è obbligata insieme al sindacato a trovare il modo meno doloroso per i dipendenti.

Se l’azienda non segue questa procedura e un dipendente si rivolge al giudice, il licenziamento può essere dichiarato illegittimo e l’azienda è costretta a:

  • Pagare un risarcimento danno al lavoratore licenziato (se non sono stati consultati i sindacati);
  • Reintegrare il lavoratore (se sono stati usati criteri scorretti nella scelta dei dipendenti da licenziare).

Cosa cambia con il Job Act

Con il Job Act la procedura di mobilità diventa più semplice e non uguale per tutti i lavoratori. Innanzitutto, se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento non è più previsto il reintegro del lavoratore. Avrà diritto solo a un risarcimento danni pari a due buste paga per ogni anno di servizio e ad almeno 4 buste paga (mai superiore a 24).

Inoltre, occorre sottolineare che queste nuove regole sono valide solo per i nuovi assunti a partire dal 7 marzo 2015 e non a quelli assunti precedentemente. Così può succedere che all’interno di un medesimo licenziamento collettivo, un dipendente abbia diritto al reintegro e uno abbia diritto solo al risarcimento.

Mobilità per azienda con meno di 15 dipendenti

La procedura obbligatoria suddetta si applica solo alle aziende con più di 15 dipendenti. Le piccole aziende che hanno al massimo 15 dipendenti non sono obbligate ad aderire a questa procedura e quindi, i licenziamenti sono semplicemente regolati dalla normativa dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (crisi aziendale).

Il requisito dimensionale dell’azienda va calcolato considerando la media dei dipendenti occupati nell’azienda negli ultimi sei mesi, includendo anche apprendisti e assunti con contratto di inserimento.

Per le piccole aziende, in caso di licenziamento illegittimo per crisi aziendale, il giudice condanna il datore di lavoro a pagare all’ex dipendente un risarcimento pari a una busta paga per ogni anno di servizio in azienda. L’importo non può mai essere minore di 2 mensilità e mai superiore a 6. Non è prevista la riassunzione del lavoratore.

Requisiti

Affinché si possa parlare di mobilità (licenziamento collettivo) è necessario che ricorrano i seguenti requisiti:

  • Requisito dimensionale: l’impresa ha almeno 15 dipendenti; il calcolo si effettua sulla media delle persone occupate negli ultimi sei mesi, conteggiando anche apprendisti e dipendenti con contratto di inserimento.
  • Requisito numerico: vengono licenziate almeno 5 persone nell’arco di 120 giorni. A tal fine vengono conteggiate tutte le cessazioni di lavoro a causa dell’azienda, quindi anche le dimissioni incentivate.

Motivi

I motivi che portano l’azienda a ridurre il personale possono essere molti, ma tra quelli più importanti ci sono sicuramente:

  • Cessazione dell’attività;
  • Trasformazione o la riduzione dell’attività;
  • Crisi economica.

Anche la volontà di ridurre il costo del lavoro è un motivo valido di licenziamento, se l’imprenditore ritiene che vi sia un’eccedenza di lavoratori impiegati.

Nella comunicazione di volontà di riduzione del personale da fare ai sindacati, l’azienda può limitarsi a indicare il numero dei lavoratori eccedenti per area aziendale e indicare, laddove ce ne siano, i lavoratori già in possesso dei requisiti per il pensionamento.

Procedura

Nell’azienda con al massimo 15 dipendenti, per la mobilità si applica la normativa prevista nel licenziamento individuale. Il licenziamento è quindi, purtroppo, più semplice.

Nelle aziende con più di 15 dipendenti, invece, il datore di lavoro deve obbligatoriamente seguire una determinata procedura, che consiste in una lettera di preavviso che deve essere inviata ai sindacati, nella quale si comunica la volontà di iniziare un licenziamento collettivo.

Questa comunicazione preventiva sindacale (art 4 comma 9 legge 223/91), serve per avviare la procedura di mobilità: datore di lavoro e sindacati si incontreranno per cercare insieme il modo meno doloroso per licenziare i dipendenti, cercando di salvare quelli che hanno più bisogno.

La comunicazione deve contenere i motivi della decisione aziendale e, laddove possibile, il numero di dipendenti eccedenti per area aziendale e tutto ciò che possa essere utile durante la consultazione tra datore di lavoro e sindacati.

Dirigenti e manager

Dal 2014, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea C-596/2012 del 13/04/2014, la procedura di licenziamento collettivo riguarda anche i dirigenti. I manager quindi, rientrano nel computo dei cinque dipendenti licenziati nell’arco di 120 giorni (Legge 30/10/2014 n. 161, cosiddetta legge europea 2013-bis).

Anche in caso di licenziamento dei dirigenti quindi, si applica la procedura prevista dalla Legge n.223/91. La procedura inizia quindi con una comunicazione dell’azienda ai sindacati dei manager e la previsione di appositi incontri, al fine di trovare il modo migliore, meno doloroso, per procedere con i licenziamenti.

Pe i dirigenti quindi, in materia di licenziamenti, valgono gli stessi criteri di scelta previsti per gli altri lavoratori (carichi di famiglia, età, ecc.).

Criteri di scelta

Una volta comunicata alle rappresentanze sindacali la volontà di procedere con un licenziamento collettivo, datore di lavoro e sindacati danno luogo a uno o più incontri, per discutere sui criteri di scelta delle persone da mandare via. I criteri di scelta, in accordo sindacale, sono spesso i seguenti:

  • Carichi di famiglia. Si tende a mantenere al lavoro i dipendenti che hanno moglie e figli a carico rispetto a chi è single o non ha figli.
  • Età. Si tende a mantenere al lavoro i dipendenti con età più avanzata, che non hanno maturato i requisiti pe rla pensione ma, data l’età, non riuscirebbero neanche a trovare lavoro, rispetto a un giovane che ha maggiori possibilità.

La legge e le sentenze della Cassazione hanno sempre confermato questi criteri di scelta, affinché i licenziamento non colpisca le categorie più deboli, più bisognose o che difficilmente riuscirebbero a trovare un nuovo impiego.

In caso di violazione dei criteri di scelta in accordo sindacale, il dipendente può rivolgersi al giudice, che può dichiarare illegittimo il licenziamento. Se per il dipendente valeva il contratto a tutele crescenti, avrà diritto solo a un risarcimento danni. Se valeva il vecchio contratto a tutela piena, avrà diritto anche alla reintegra del posto di lavoro.

Impugnazione

La procedura di licenziamento collettivo è sottoposta al controllo dei sindacati. Tuttavia se il dipendente ritiene ingiusto il licenziamento, ha diritto a impugnarlo, soprattutto se ritiene illegittimi i criteri di scelta. Il licenziamento va impugnato entro 270 giorni, da conteggiare dal giorno in cui viene presentata la domanda di conciliazione.

Se purtroppo le parti non raggiungono un accordo nei tempi stabiliti, il dipendente può rivolgersi al giudice, che controllerà:

  • La sussistenza dei requisiti (dimensione aziendale, tempo, spazio);
  • La regolarità formale della procedura e il rispetto della medesima;
  • La corretta applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da lasciare a casa.

Il giudice non effettua mai un controllo sulle esigenze aziendali, quindi non va a controllare se era realmente necessario o no licenziare dei dipendenti, ma controlla solo la regolarità dei suddetti aspetti (Cassazione n. 4150/11).

Se il giudice conferma che il licenziamento è illegittimo, al lavoratore spetta:

  • Un risarcimento danni commisurato alla sua anzianità lavorativa;
  • Il reintegro del posto di lavoro, solo se il contratto era a tutela piena. Se il lavoratore era assunto con contratto a tutele crescenti (Job Act), non ha mai diritto al reintegro ma solo al risarcimento dei danni.

Iscrizione alle liste di mobilità

I lavoratori licenziati collettivamente vengono inseriti nelle cosiddette “liste di mobilità“, ossia delle apposite liste presso i Centri dell’impiego. Inoltre, se l’ex datore di lavoro, nei sei mesi successivi dovesse aver di nuovo bisogno di personale e decidesse di riassumere, dovrà dare diritto di precedenza ai suoi ex dipendenti, se ancora inoccupati.

Vengono iscritti alle liste di mobilità sia i dipendenti di aziende fino a 15 dipendenti, sia quelli di aziende con più di 15 dipendenti.

Indennità INPS

Il lavoratore iscritto alle liste di mobilità ex dipendente di un’azienda con più di 15 dipendenti, ha diritto anche all’indennità di mobilità, uno specifico aiuto economico destinato ai lavoratori con almeno 12 mesi di anzianità lavorativa.

L’indennità di mobilità viene percepita per un massimo di 12 mesi, aumentabili a 24 per gli ultraquarantenni e a 36 per gli ultracinquantenni. Non hanno diritto all’indennità di mobilità i lavoratori licenziati da aziende con meno di 15 dipendenti. Essi però, hanno diritto all’indennità di disoccupazione NASPI.

Disoccupazione

Indennità di mobilità e disoccupazione NASPI non sono la stessa cosa. E non sono cumulabili, quindi si può avere o l’una o l’altra. Hanno diritto alla mobilità i lavoratori colpiti da licenziamento collettivo (quindi nelle aziende con più di 15 dipendenti).

I dipendenti licenziati da piccole aziende (con al massimo 15 dipendenti), si possono iscrivere alle liste di mobilità ma non hanno diritto all’indennità di mobilità, per cui possono accedere solo alla disoccupazione NASPI.

Se il lavoratore ha diritto a entrambe, non essendo purtroppo cumulabili, può scegliere o l’una o l’altra soluzione, ovviamente in base alla sua convenienza economica. In tal caso è bene farsi assistere da un sindacato o un patronato, per capire quale sia più conveniente scegliere tra l’una o l’altra.

Buonuscita

Il lavoratore licenziato ha diritto alla buonuscita per il licenziamento. Si tratta di un importo pari al 6,91% di ogni reddito annuo percepito.

Esempio

Se hai percepito uno stipendio annuo pari a 20.000 euro annui, per 10 anni, hai diritto a una buonuscita pari al 6,91% di 20.000, moltiplicato per 10, ossia 1.382 x 10 = 13.820 euro.

Hai diritto alla buonuscita per licenziamento se sei in una delle seguenti situazioni:

  • Avevi un contratto a tempo determinato dopo il 31/12/2000;
  • Avevi un contratto a tempo indeterminato entro il 3/12/2000 e aderivi ad un fondo di previdenza complementare;
  • Avevi un contratto a tempo indeterminato dopo il 30/05/2000 e il contratto è durato almeno 15 giorni consecutivi.

Attenzione

Se la cifra non è tanto elevata, viene corrisposta in un’unica soluzione, altrimenti viene corrisposta a rate.