Nel momento in cui il tribunale dichiara fallita un’impresa, nomina anche il curatore fallimentare, il quale ha il compito di gestire tutta la procedura a partire dall’individuazione del denaro presente in azienda, dei beni, dei creditore da pagare. Questi ultimi devono essere tutelati il più possibile e la revocatoria familiare ha proprio questo fine.

In questa guida completa sulla revocatoria fallimentare ti spiego cos’è e come funziona ai sensi dell’art. 67 della Legge Fallimentare, cosa può revocare il curatore, se beni, acquisti in denaro o immobili, cessione di ramo d’azienda, quali sono i termini e i presupposti della revoca ed infine cosa si intende per giusto prezzo.

Cos’è e come funziona

Cosa significa. Quando un’impresa fallisce, il tribunale nomina un curatore affinché curi tutti gli aspetti del fallimento: verificare quanti beni ha l’azienda, individuare i creditori, vendere i beni e con il ricavato pagare.

È quindi una figura che tutela i creditori del fallito. E proprio per tutelari può usare la revocatoria fallimentare, ossia l’azione di annullamento di alcuni atti compiuti del fallito prima del fallimento, in modo da far rientrare nel patrimonio aziendale beni o denaro.

La ratio di questo strumento è la condicio creditorum, ossia il mettere in pari condizioni tutti i creditori del fallito, annullando la prevalenza che avevano avuto altri avendo ricevuto beni e denaro prima del fallimento.

Stai sicuramente pensando che, se da una parte la revocatoria tutela i creditori del fallito, dall’altra non tutela chi ha acquistato beni o denaro di quest’ultimo, visto che vengono praticamente espropriati di quanto avevano ottenuto. E in effetti è proprio così, ecco perché il curatore può revocare taluni atti solo a precise condizioni che vedremo in questa guida.

C’è poi da dire che, è vero che il curatore espropria i beni o il denaro di questi creditori “avvantaggiati”, ma costoro potranno comunque inserirsi nel passivo del fallimento e, al pari degli altri creditori, ottenere quanto spetta. Senza quindi sovrastare gli altri.

Art. 67

L’articolo 67 della Legge Fallimentare (Regio Decreto n. 267/1942 e successive modifiche) elenca i beni e i pagamenti che il curatore può revocare:

  1. Pagamenti in denaro effettuati fino a un anno prima della dichiarazione di fallimento, purché l’obbligazione assunta dal fallito sia maggiore di un quarto rispetto a quanto ha ricevuto. Per esempio: l’impresa vende a 100 mila euro un immobile che vale 200 mila euro, dopo due mesi viene dichiarata fallita. In questo caso il curatore può revocare la vendita perché sono presenti entrambe le condizioni, ossia operazione effettuata fino a sei mesi prima del fallimento e obbligazione del fallito maggiore di un quarto rispetto a quanto ricevuto.
  2. Pagamento di debiti effettuati con beni (non a mezzo denaro) ed eseguiti fino a un anno prima del fallimento (ossia la data in cui il giudice dichiara il fallimento).
  3. Pegni e ipoteche volontarie realizzati fino a un anno prima della dichiarazione di fallimento e per debiti non scaduti.
  4. Pegni e ipoteche giudiziali o volontarie realizzati fino a sei mesi prima della dichiarazione di fallimento e per debiti scaduti.
  5. Altri pagamenti, atti a titolo oneroso o costitutivi di diritti di prelazione compiti fino a sei mesi prima della dichiarazione di fallimento, ma solo se il curatore prova che chi ha ricevuto denaro dall’impresa sapeva bene della situazione di insolvenza del debitore (quindi si profila una cattiva fede, un atto sospetto).

Per annullare gli atti a titolo oneroso occorre l’autorizzazione del giudice, mentre gli atti a titolo gratuito sono inefficaci ex lege (art. 66 L.F) e non occorre autorizzazione. Il motivo di questa condizione è molto semplice: se il fallito ha regalato a un terzo per esempio un immobile, quel terzo non ha pagato nulla, quindi innanzitutto questo regalo è “sospetto” (il fallito l’avrà fatto per nascondere quel bene ai suoi creditori?) e soprattutto il terzo non ha pagato nulla, quindi comunque non ci perde se il giudice lo espropria di quel bene.

È chiaro che deve trattarsi di una donazione ricevuta poco tempo prima della dichiarazione di fallimento del tizio e infatti l’art. 67 disciplina anche questo (come visto nell’elenco in alto, a seconda dei casi si possono revocare solo gli atti compiuti nell’anno o sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento).

Diverso è il discorso degli atti a titolo oneroso: se un terzo ha comprato qualcosa dal fallito, sborsando denaro, è chiaro che subisce una perdita dall’espropriazione: perde il bene e pure il denaro. Ecco perché in questo caso occorre l’autorizzazione del giudice, che deve valutare il caso specifico.

Immobili

Un tema molto importante è quello della vendita immobile da parte di una società che poi il giudice dichiara fallita. Nello specifico l’art. 67 della Legge fallimentare sancisce che è possibile revocare gli acquisti compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, se la prestazione assunta dal fallito supera di un quarto ciò che deve dargli la controparte.

Per meglio comprendere questo aspetto, consideriamo una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 19314/2014. Nella fattispecie, un’impresa edile aveva stipulato dei preliminari di vendita, successivamente il tribunale aveva aperto la procedura di fallimento, poi ritirata perché l’azienda era tornata in bonis.

A questo punto i soci stipulano l’atto finale di vendita degli immobili e decidono di mettere in liquidazione la società. Dopodiché però, trovandosi di nuovo in cattive condizioni, il tribunale dispone ancora una volta il fallimento, che stavolta va buon fine: il giudice quindi la dichiara fallita e nomina il curatore fallimentare.

Il curatore, si accorge che l’azienda aveva stipulato il preliminare, stava per fallire ma poi è tornata in bonis, ha “approfittato” per concludere la vendita degli immobili e poi è stata dichiarata fallita. Qualche dubbio che l’azienda avesse velocizzato questa vendita di immobili per sottrarli al fallimento, è lecito, tant’è che il curatore propone azione revocatoria nei confronti dei compratori degli immobili. Gli acquirenti di tali immobili però non si arrendono e contestano la revoca portandola in tribunale, in I grado, in Appello ed infine in Cassazione.

Tutti i giudici ed anche la Cassazione hanno confermato la revoca, quindi rigettato il ricorso degli acquirenti, in quanto era presente:

  1. La sproporzione tra valore del bene venduto e prezzo/prestazione. In questo caso si parlava di valore del bene (105.000) e prezzo pagato (177.000).
  2. Essendo una sproporzione notevole, gli acquirenti potevano comunque “salvarsi” dimostrando di essere completamente all’oscuro della grave situazione di insolvenza del venditore, cosa che non sono riusciti a fare. In tal caso infatti, l’onere di provare la non conoscenza dello stato di insolvenza del futuro fallito cade sugli acquirenti.

Conclusioni: se stai acquistando un’immobile da un’impresa, devi stare molto attento allo stato di salute finanziario di quest’ultima, cercare di capire se è sull’orlo del fallimento (più avanti vedremo come) perché in futuro il giudice potrebbe revocarti l’acquisto se non riesci a provare di essere del tutto inconsapevole. L’onere della prova ricade su di te.

Giusto prezzo

Il curatore fallimentare non può revocare qualsiasi azione o vendita a suo piacimento, ma chiaramente deve attenersi a determinate regole e condizioni, difatti non può revocare:

  • Le vendite di immobili che l’acquirente destina a prima casa, per sé oppure per i suoi parenti e affini entro il III grado. Il giudice non può certo espropriare queste persone e lasciare per strada.
  • Le vendite di immobili effettuate al giusto prezzo (artt. 1469 bis e seguenti); il prezzo che paga l’acquirente deve essere giusto rispetto al valore di mercato. Se quindi un’impresa fallita aveva venduto un immobile del valore di 1 milione di euro a 100.000 euro, è chiaro che c’è qualcosa che non va, c’è qualcosa di sospetto e il curatore può revocare l’azione, ma se l’immobile è venduto a 1.000.000 di euro allora non si può sospettare per principio.

Attenzione

Per prezzo giusto si intende il prezzo di mercato e non un astruso prezzo calcolato per esempio in base al valore catastale.

Effetti restitutori

Bisogna mettere in chiaro un aspetto molto importante: con la revoca della vendita immobiliare, l’immobile non torna all’azienda, semplicemente quell’immobile torna nelle disponibilità del curatore fallimentare, che quindi attua le azioni necessarie al fine di soddisfare i creditori dell’azienda fallita. Quindi per esempio potrà rivenderlo all’asta al giusto prezzo.

Azienda

Se un’azienda dichiarata fallita, nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento effettua una cessione d’azienda o ramo d’azienda, il curatore può esperire azione revocatoria della vendita e ottenere indietro il ramo venduto. Chiaramente, ai fini della revocabilità, è sempre necessario che l’azienda abbia venduto il ramo a un prezzo incongruo e in tempi sospetti.

Per prezzo incongruo si intende un prezzo di almeno un quarto inferiore al valore di mercato; mentre per tempi sospetti si intende fino a sei mesi prima della dichiarazione di fallimento (Corte di Cassazione, Sezione I, sent. n.803/2016).

Cessione ramo d’azienda

Cosa succede agli acquirenti che si vedono espropriati del ramo di azienda. Sicuramente si trovano in una situazione poco piacevole, perché perdono il ramo di azienda acquistato a tot prezzo. Tuttavia, costoro a questo punto diventano creditori dell’azienda fallita, quindi possono insinuarsi, inserirsi nel passivo dell’azienda e, al pari degli altri creditori, ottenere restituzione del prezzo pagato.

Pagamento fornitori

Sei fornitore di un’impresa che è sull’orlo del fallimento e questa ti deve del denaro per i tuoi servizi. Siccome non ti paga, stai valutando se avviare una procedura esecutiva di esecuzione forzata oppure se attendere che l’azienda fallisca e quindi insinuarti nel fallimento.

Sì, perché purtroppo come ti ho spiegato finora, se l’azienda fallisce entro se mesi dacché tu hai ricevuto il pagamento, il curatore potrebbe revocartelo. A quel punto a te non rimarrebbe altro che insinuarti nel passivo del fallimento, per tentare di ottenere quanto ti spetta, tra l’altro con aggravio di costi e tempo.

Ti conviene quindi fare bene i tuoi conti, perché è vero che da un lato potresti essere chiamato a restituire l’importo, dall’altro lato devi considerare che questa evenienza non è automatica ma è subordinata a determinate condizioni, ossia:

  1. L’impresa fallisce entro sei mesi dal momento in cui ti paga. Se quindi fallisce dopo più di sei mesi, l’atto non è revocabile.
  2. Se l’impresa fallisce prima dei sei mesi, non te li espropria subito, ma deve comunque provare che conoscevi lo stato d’insolvenza del debitore poi fallito.

Suggerimento

Fai bene i tuoi calcoli, calendario alla mano, prima di avviare una procedura esecutiva nei confronti di un’impresa sull’orlo del fallimento, perché la procedura esecutiva ha un costo (devi rivolgerti al legale, ecc.) e tutto potrebbe essere vanificato dal successivo fallimento e revoca.

Termini

Il curatore fallimentare può revocare atti compiuti fino a sei mesi, un anno e addirittura fino a due anni prima della dichiarazione di fallimento. Nello specifico, si possono revocare i pagamenti in:

  • Denaro effettuati fino a sei mesi prima del fallimento;
  • Beni effettuati fino a dodici mesi prima del fallimento;
  • Beni o denaro effettuati fino a quarantotto mesi prima del fallimento se tali debiti scadevano alla data del fallimento o successivamente.

Presupposti

Alla luce di quanto esposto finora, i presupposti sostanziali della revocatoria fallimentare sono i seguenti:

  • L’insolvibilità, ossia una palese manifestazione di insolvenza dell’impresa. La legge elenca quali potrebbero essere tali manifestazioni nell’articolo art. 7 Legge fallimentare (e sono per esempio latitanza, chiusura dei locali, irreperibilità, ecc.). Quindi, se un’azienda ti deve del denaro ma sparisce, chiude le sedi, non risponde alle mail e al telefono, è chiaro che la situazione di insolvenza è palese e al curatore sarà difficile dimostrare che tu non ne sapevi nulla;
  • La scientia decoctionis, ossia conoscibilità dello stato di insolvenza dell’impresa da parte di chi ha ricevuto denaro da parte di questa. Al curatore spetta l’onere di provare che l’insolvenza era palese e quindi il creditore ha ricevuto il pagamento in mala fede (art. 67 L.F.);
  • Il termine temporale; come abbiamo visto nel precedente paragrafo infatti, il curatore può revocare atti compiuti fino a 6 mesi, 12 o addirittura 48 mesi prima della dichiarazione di fallimento).